VILLA IL RIPOSO E IL PARCO DIFFUSO

VILLA IL RIPOSO E IL PARCO DIFFUSO

Fin dall’epoca medievale la vicinanza a Firenze e la bellezza dei dintorni a sud-est della città hanno attirato l’attenzione delle più potenti e facoltose casate cittadine. Tra di esse vi fu quella dei Vecchietti, lignaggio di lunga tradizione e da secoli ai vertici della società fiorentina, che nel 1515 acquistò una casa da signore alle pendici del colle di Fattucchia, insieme ai terreni circostanti. Bernardo Vecchietti, mecenate e consigliere d’arte della famiglia Medici, incaricò il giovane Giambologna, suo protetto, di trasformare la modesta casa da signore in una lussuosa villa, da lui battezzata Il Riposo. La villa, decorata da numerosi affreschi e da scritte che giocano con il nome del casato, probabilmente opera di Santi di Tito, ospitava la ricca collezione d’arte dello stesso Bernardo, con opere di Leonardo da Vinci, Benvenuto Cellini, Botticelli, Bronzino e Michelangelo. Divenuto nel XIX secolo proprietà della famiglia Signorini, il Riposo si presenta oggi come un insieme di costruzioni circondate da un largo porticato e dominate da un torrione di pietra grigia.

La villa era al centro di un parco il cui sviluppo era scandito da luoghi con caratteristiche e funzioni peculiari, tra cui si distingue il Ninfeo del Giambologna. Questo parco diffuso ante litteram comprendeva un tabernacolo campestre e un vasto uccellare.

Il tabernacolo, che sorge sul colle di Poggio Secco dirimpetto a Villa il Riposo, è già raffigurato nella pianta di Popoli e Strade dei Capitani di Parte guelfa relativa al popolo di ‘Santo Giusto a Ema’, con accanto la didascalia ‘Maesta dantonio Vechiettj’ (XVI secolo). È collocato in quella che è oggi denominata via delle Cupole, al trivio con la biforcazione che portava alle Cupole a sinistra e a San Giusto a Ema a destra. Ha un impianto strutturale assai semplice, che si contraddistingue per la chiarezza, l’eleganza e la linearità degli elementi costruttivi. La nicchia ospitava un affresco, oggi staccato, rappresentante la Madonna seduta, circondata e sostenuta da angioletti, attribuito a Santi di Tito.

Con tutt’altro scopo sulla collina di Fattucchia fu invece realizzato da Bernardo Vecchietti un grandioso uccellare, apprestato per la caccia agli uccelli mediante la sistemazione di reti, pianticelle impaniate, richiami di vario genere: era circondato da un boschetto di settantacinque braccia per lato, con 784 piante distribuite in ventotto ordini, e dotato di ponti, piccole costruzioni, cisterne e soprattutto gallerie sotterranee che, secondo i racconti degli abitanti, arriverebbero sino al Ninfeo. La spesa per realizzare questo parco fu tale che il Vecchietti soleva dire della sua opera “ch’io ho fatto per uccellare, o per essere uccellato, poiché in essa ho tanto tempo e tanti denari speso”. Di questo perfetto esempio di compenetrazione di verde e opere di architettura oggi restano solo pochi resti confusi con la lussureggiante vegetazione.

Con la morte di Bernardo, avvenuta nel 1590, cominciò la lenta, ma inesorabile decadenza del casato, che si concluse idealmente con la scomparsa nel 1739 di Bernardo di Tommaso Vecchietti, morto senza eredi e per giunta irrimediabilmente indebitato.